domenica 1 giugno 2008

QUALCHE ANNO FA'.


Sul traghetto per l'isola di Vulcano

USA

mangiata estiva

I girasi i Lipantana


Ficodindia siciliano


Ficodindia siciliano, prove di resistenza

Sbucciato e conservato in vaschetta si mantiene fino a dieci giorni


di Annalisa Ricciardi


Da pianta simbolo della sicilianità a produzione agroalimentare intensiva. È questa la storia recente dell’Opuntia ficus indica, meglio nota come ficodindia. La pianta, originaria del Messico, si è adattata perfettamente alle condizioni pedologiche e climatiche della Sicilia, che ne è oggi il primo produttore a livello europeo. La fama del ficodindia siciliano, come riportato nell'ultimo numero di Terrà, riconducibile anche alle sue riconosciute proprietà salutistiche, ha già raggiunto alcuni importanti mercati esteri come Francia, Germania, Canada e Stati Uniti, e ha portato alla nascita di consorzi di tutela e al riconoscimento della denominazione d’origine protetta per il “Ficodindia dell’Etna”. La zona di produzione Dop comprende i
I LUOGHI DI PRODUZIONE

Santa Margherita Belice

Roccapalumba

Etna

San Cono

comuni di Bronte, Adrano, Biancavilla, Santa Maria di Licodia, Ragalna, Camporotondo, Belpasso e Paternò, dove il clima mediterraneo subtropicale con estati lunghe e siccitose, piovosità concentrata nel periodo autunnale ed invernale e notevoli escursioni termiche tra il giorno e la notte, unitamente alla natura vulcanica dei terreni, ai venti, all’umidità e alla lunga esposizione ai raggi solari, conferiscono al frutto caratteristiche di qualità difficilmente riscontrabili in altre aree di produzione e nello stesso massiccio etneo. La zona più importante per superficie e grado di specializzazione degli impianti si trova invece al confine con le province di Catania, Enna e Caltanissetta e ricade nei comuni di San Cono (Catania), San Michele di Ganzaria (Catania), Piazza Armerina (Enna) e Mazzarino (Caltanissetta): un’area che da sola copre il 60% dell’intera superficie regionale coltivata a ficodindia. Relativamente agli altri areali di produzione (vedi box a p. 81, in alto), secondo Paolo Inglese, docente presso il dipartimento di Colture arboree dell’Università di Palermo, «si assiste oggi a una progressiva scomparsa del ficodindia di Santa Margherita Belice, in provincia di Agrigento, e a un’ascesa di quello di Roccapalumba, nel Palermitano». Ma per il docente, più che di singoli areali si dovrebbe lanciare il “Ficodindia di Sicilia”. «Prima di tutto – spiega Inglese – perché il nome dell’Isola è conosciuto in tutto il mondo, al contrario di piccole aree di territorio che a stento sono conosciute nello stesso ambito regionale». Il secondo aspetto riguarda le quantità, che cumulate sarebbero senz’altro più significative. «Anche perché – precisa il docente – nell’ultimo convegno internazionale tenutosi in Brasile a fine ottobre, paesi come il Marocco e la Tunisia hanno mostrato notevole interesse alla coltivazione della pianta per la produzione di frutti: in futuro l’Isola dovrà fare i conti con questi competitors». Il punto di forza del frutto siciliano è la qualità, che viene tenuta sotto controllo grazie alle tecniche colturali. La concimazione, l’irrigazione e il diradamento dei frutti sono oggi ritenute indispensabili per l’ottenimento di frutti con determinate caratteristiche qualitative, capaci di conquistare i più ricercati mercati internazionali. Attualmente nell’Isola la produzione di ficodindia è caratterizzata quasi esclusivamente dai frutti “scozzolati”, con un’elevata concentrazione dell’offerta nel mese di ottobre. «Si ottengono – spiega Inglese – mediante la rimozione del flusso vegetoriproduttivo primaverile, la scozzolatura, a seguito della quale la pianta risponde con una seconda fioritura i cui frutti vanno a maturazione nei mesi autunnali». Una ricerca in corso, realizzata attraverso la collaborazione tra assessorato regionale Agricoltura e Università di Palermo, sta valutando la possibilità di estendere il periodo di raccolta a febbraio, procedendo a una seconda scozzolatura e proteggendo le piante in tunnel durante l’inverno. «Scopo della ricerca – chiarisce Inglese – è mettere a punto un modello colturale che favorisca l’emissione di un terzo flusso di fiori per la produzione di frutti a maturazione extra-tardiva (dicembre-gennaio)». In questo modo il ficodindia arriverebbe in un mercato non saturo spuntando prezzi decisamente più alti. Uno dei fattori che limitano la diffusione del ficodindia è la presenza delle spine, che in genere si affronta con l’utilizzo di macchine despinatrici da parte delle aziende nel post-raccolta. L’immissione nel mercato di frutti sbucciati può rendere ancora più facile l’accettabilità di tale frutto da parte dei consumatori, tanto più che in Italia, negli ultimi anni, il consumo di prodotti detti minimally processed food, cioè lavorati quel minimo che può consentire loro di definirsi freschi, seppure preparati per essere consumati tal quali (insalate, frutta, macedonia, ecc.), si va sempre più diffondendo. I frutti di ficodindia sbucciati hanno una vita post-raccolta abbastanza breve a causa dell’attacco di organismi microbici e della rapidità con cui perdono le caratteristiche organolettiche iniziali. «Il ficodindia, come tutti i frutti, è soggetto a diverse alterazioni sia fisiologiche che patologiche durante il post-raccolta – dice Inglese –, per tale motivo abbiamo attivato diverse ricerche per individuare le tecnologie ottimali per la conservazione di tale frutto, e una di queste è la frigoconservazione». Le prove hanno dimostrato infatti che frutti conservati a 8°C mantengono una buona qualità organolettica e microbiologica fino a dieci giorni di conservazione. Quelli conservati a 20°C (simulazione di shelf-li life) sono risultati accettabili ai fini della commercializzazione per tre giorni. Secondo il docente, inoltre, bisogna guardare anche gli utilizzi alternativi della coltura, come l’alimentazione del bestiame. Un business non indifferente se si pensa che in Brasile coltivano oggi oltre 800 mila ettari di ficodindia da foraggio.

Le tre tipologie siciliane
Il ficodindia è presente generalmente in tre qualità: la gialla o surfarina, la rossa o sanguigna e la bianca o muscaredda. Le prime sono caratterizzate da un’elevata concentrazione di pigmenti carotenoidi, l’ultima da una buona presenza di clorofilla. Si tratta di un frutto, che oltre al consumo fresco permette molteplici elaborazioni gastronomiche dalle marmellate alle mostarde, che però hanno più una destinazione di consumo familiare che commerciale. La pianta fruttifica in un arco temporale che va da luglio a dicembre; il nome del frutto viene distinto in funzione del periodo di maturazione: i ficodindia ottenuti dal primo fiore sono definiti “agostani” o “latini”, quelli derivanti da una seconda fioritura, ottenuta attraverso la tecnica della “scozzolatura”, ossia della recisione dei primi germogli, sono detti appunto “scozzolati” o “bastardoni” e sono caratterizzati da maggiori dimensioni e più elevato contenuto zuccherino.

Il vice sindaco di San Pier Niceto Enrico Gangemi insieme ad Antonella Carfi e Silvia Battisti


Miss Italia Silvia Battisti

Miss Italia nel mondo Antonella Carfi


La foto scandalo